L'azione, si badi bene, non l'essere, onde il fondamento del tutto non sarebbe l'essere, ma l'attività che lo produce. Come poi possa esserci un'attività che non ha essere e quindi non è, come possa esserci qualcosa che non esiste, è un mistero della filosofia faustiana e romantica. Questo uomo cosmico-nulla, che è la tesi, il punto di partenza, della cosmogonia fichtiana, o meglio, cabalistico-massonica, produce euomo archetipo della kabbalah contrappone a sé stesso, come propria antitesi, la natura, il non-io. Tale contrapposizione, spiega Fichte, limita l'io originario, lo toglie di mezzo in parte (quasi che l'infinito potesse ammettere una diminuzione, una sottrazione) e da essa scaturisce, sintesi fra i due opposti, la coscienza, la conoscenza, la rappresentazione, frutto dell'incontro dell'io che conosce con l'oggetto conosciuto. Condizione, però, di tale conoscenza è, come si è visto, la limitazione posta dal non-io, onde l'uomo, precipitando dall'Uno nel mondo del limitato e quindi del relativo e del molteplice, si sarebbe spezzato negli io «finiti», e cioè nei singoli uomini limitati e soggetti, pertanto, alla morte. Essi restano tuttavia, pur sempre, parti, componenti di quel grande lo assoluto primario. Di fronte a questo processo iniziale che dà il via all'Universo ed è fondato sul principio della contrapposizione degli opposti (l'assoluto, tesi, e non-io, e cioè natura, antitesi, che si conciliano nella sintesi-conoscenza) il compito dell'uomo cosmico che ormai agisce attraverso i suoi frammenti molteplici è, dice Fichte, quello di superare incessantemente il limite dato dal non-io, che altro poi non è che la realtà, per affermare sempre più la propria infinitudine. Onde la realtà, la condizione attuale del mondo, e cioè della Storia, è un dato che va sempre superato per ripristinare l'illimitatezza, la divinità dell'uomo. Essa rappresenta l'antitesi, cui consegue una sintesi la quale si pone come nuova realtà, che va a sua volta superata, e quindi tolta di mezzo, nella corsa verso il recupero della incondizionata libertà dell'uomo rispetto al dato oggettivo, reale, considerato sempre come un limite, e quindi una pastoia che va soppressa e distrutta. È da notare che in questo ordine di idee la causa della caduta è la brama della conoscenza e quindi il pensiero, l'autocoscienza, che costituiscono le individualità separate, onde la ragione, senza cui non si ha né conoscenza né coscienza, appare come il principio del male, la forza malefica che ha spezzato l'unità divina dell'Adam Kadmon (vedi figura sotto) e che occorre quindi far scomparire per reintegrare quell'unità perduta.
Considerata in questa prospettiva esoterica, la filosofia di Fichte presenta aspetti e valenze sconcertanti che sfuggono a chi non la consideri alla luce del segreto iniziatico che la Massoneria insegna ai suoi adepti e che può in estrema sintesi (non è eccessivo tornare ancora una volta su rebis ermafroditoconcetti tanto oscuri) essere così ricapitolato: al principio vi è l'Uomo Divino, l'Uomo Celeste, l'Adam Kadmon, l'uomo totale ermafrodita, e quindi completo e autosufficiente, in cui i sessi non sono ancora divisi. Poi vi è una sua caduta originaria che si concreta nella nascita del mondo fisico, il non-io, che è produzione e proiezione dell'lo primo. È lo anch'esso, ma lo oggettivato e cristallizzato che limita l'originaria assolutezza dell'Uomo Celeste. Dall'incontro fra io e non-io nasce la conoscenza. Persa l'assolutezza e con essa la totalità e l'unità originarie, l'Uomo Celeste si frammenta, quasi come un vaso di vetro caduto a terra e spezzato, in innumerevoli piccoli uomini che, per stare alla nostra immagine, rispecchiano e riflettono bensì, come altrettanti frammenti del vaso infranto, la prisca, unica figura, ma hanno smarrito il senso di quella unità che li trascende e vagolano fra le apparenze illusorie del molteplice. La separazione dei sessi è espressione di questa perdita della totalità, dell'unità e dell'assolutezza dell'lo primevo. Questo mondo materiale, questa prigione dove le regole della fisica e quelle della ragione e della morale limitano la libertà originaria e incondizionata, perché divina, dell'uomo cosmico, va infranto. Occorre reintegrare l'Adam Kadmon, affermandone l'unità anche politicamente mediante l'unificazione del genere umano in un unico Stato. Tale unità del genere umano, che si fonde in un individuo unico rivendicando la propria assolutezza e divinità e rigettando ogni legge, è l'esatto contrario dell'unità della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo. Ma la mèta finale è l'ekpurosis, il diluvio di fuoco in cui l'intera prigione cosmica, l'intera illusione del non-io, della natura, della coscienza e della individualità degli «io» separati, sia dissolta, in cui il microcosmo (e cioè l'uomo singolo, analogo al divino, ma sminuito e smarrito nel labirinto del mondo) sia riassorbito dal macrocosmo, e cioè, appunto, dall'Adam Kadmon. Si noti bene che tutte queste elucubrazioni sulla precedente divinità dell'uomo, sullo spezzamento dell'lo originario e celeste, vengono alla Kabbalah dalla filosofia pagana neoplatonica e in particolare da Plotino (205-270), e indirettamente dallo stesso Platone (428-348 a. C.).
Per liberarsi da Dio e affermare, quindi, la propria assolutezza e divinità, l'uomo, anzi, il mago che si arroga natura e poteri divini, deve negare l'immensa realtà che lo circonda e lo condiziona, le leggi fisiche cui il suo corpo è soggetto, la scienza che le ricerca e le riconosce e, infine e portæ lucis - kabbalahsoprattutto, la ragione, che gli manifesta la sua infima piccolezza e impotenza di fronte all'Universo e lo vincola condizionandolo negli schemi invincibili dei processi logici, fondati tutti sull'invalicabile principio di non contraddizione e sulla conseguente distinzione tra vero e falso. Negata realtà e ragione, il mago, il ribelle a Dio, il rivoluzionario, altro scampo non ha se non nel nulla in cui si precipita per annientarsi e sfuggire all'odiato Creatore. Il marchingegno fichtiano-cabalistico, tesi, antitesi e sintesi, sul piano politico e storico funziona così: l'ordine sociale attuale si presenta come tesi - ciò che è posto, ciò che è dato - che va rimosso perché condiziona e limita. Ad esso, quindi, l'«io» nel suo sforzo di liberarsi dalle catene del reale, dell'oggettivo, e «reintegrarsi» nell'incondizionata libertà dell'Adam Kadmon, dell'Uomo Celeste primigenio, contrappone un'antitesi. La sintesi è la consapevolezza di un nuovo io collettivo, più «libero» del precedente dal concetto vincolante e limitante di oggettività del vero, del bene e del giusto. Tale nuovo io postula del pari nuove strutture politiche. Ma poiché, come si è visto, nella filosofia di Fichte ogni realtà si pone come limite che va «superato», questa sintesi diviene la tesi, e cioè il punto di partenza di una nuova triade dialettica, cui viene contrapposta un'altra antitesi. Dall'incontro dei due termini scaturisce una seconda sintesi che si colloca al di là della precedente, allontanandosi ancor di più dal punto di partenza iniziale, e così via, in una corsa indefinita, divinizzata sotto il nome di «Progresso», dove ogni realtà viene superata e distrutta nel viaggio di ritorno al presunto nulla originario. Infatti, abbiamo visto, e giova ripeterlo, che l'Adam Kadmon, l'Adamo cosmico, non essendo né materia né spirito, è un nulla. Sul piano giuridico istituzionale le tappe di questa marcia assumono il nome, a seconda che siano violente o graduali, di rivoluzioni o di riforme. Per meglio chiarire il processo qui esposto ricorro a un esempio che esprime molto chiaramente lo schema triadico divulgato da Fichte e ne coglie l'essenza: partendo da un'operazione aritmetica semplicissima 2+2=4, il fichtiano, panteista coerente, per cui non esiste verità oggettiva perché tutto l'Universo é prodotto dall'Io, e anzi i concetti stessi di oggettività e di verità vanno respinti perché limitano l'incondizionatezza divina e quindi la dignità dell'uomo 5, se taluno gli dirà che invece 2+2 fà 8, non respingerà questo risultato come erroneo, ma lo accoglierà come un'opinione, un'antitesi alla tesi precedente.
Di conseguenza, egli unificherà i due dati contraddittori nella sintesi 2+2=6. Tale sintesi costituirà il primo termine, la tesi della triade successiva, che quindi sarà così formulata 2+2=6 tesi; 2+2=10 antitesi; 2+2=8 sintesi, che coincide con l'antitesi iniziale. E così via, in una corsa illimitata verso l'allontanamento dal vero, dal reale e dal giusto, per affermare la libertà dell'uomo da ogni limite e pastoia di oggettività e quindi di verità 6. continua...
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