| Ho notato che gli oblò di quell'astronave-madre erano doppi, e che tra il vetro esterno e quello interno c'era uno spazio di circa due metri. Noi eravamo in piedi dietro ai vetri interni, e non potevo fare a meno di chiedermi come si poteva sperare di ottenere buone fotografie, con quella macchina minuscola, attraverso tutto quel vetro!
Nello spazio è molto difficile calcolare le dimensioni e le distanze, perché non ci sono termini di paragone, mi è però sembrato che il Ricognitore stesse librato ad una trentina di metri dalla nave piú grande. Dalla parte superiore (*) il Ricognitore irradiava un raggio di luce fulgidissima verso l'astronave-madre. Qualche volta il raggio era più intenso, qualche volta meno. Come mostrano le fotografie, a bordo del Ricognitore stavano cercando la luce più adatta per riprendere l'astronave e nello stesso tempo penetrare attraverso gli oblò, in modo da ritrarre me ed Orthon.
Mentre questo avveniva, la radiazione dell'astronave-madre e del Ricognitore era stata ridotta al minimo. In seguito sono venuto a sapere che gli uomini erano stati costretti ad applicare una specie di filtro sulla macchina fotografica e sulla lente per proteggere la pellicola dall'influenza magnetica della grande nave. Era solo un esperimento iniziale e, come si vede chiaramente dalle fotografie, sono state tentate distanze e intensità di luce diverse.
A questo punto devo riconoscere di avere molto rimpianto il fatto di avere dimenticato, partendo da casa in fretta e furia, di prendere con me altre pellicole. Questo ha causato gravi difficoltà per i Fratelli, perché lasciava uno stretto margine al metodo di « prova ed errore » cui erano costretti a ricorrere. Mentre lavoravano con la mia macchina fotografica, ne studiavano attentamente i risultati. Forse riusciranno ad apportare qualche miglioramento che, in futuro, potrà dare fotografie più ricche di particolari.
E' trascorso un certo tempo prima che un segnale del Ricognitore ci avvertisse che stavano ritornando all'astronave-madre. Ho guardato l'ascensore mentre saliva; il portello si è aperto, e l'ascensore è ritornato al nostro livello. Ne è uscito il pilota del Ricognitore, con la mia macchina fotografica tra le mani. Ci ha raggiunti e ha riferito che, sebbene ritenesse assai mediocri quelle fotografie, aveva avuto parzialmente successo e aveva tenuto in serbo le ultime due per fotografare l'interno dell'astronave-madre.
Poiché ormai io mi aspettavo un risultato pessimo, sono rimasto piacevolmente sorpreso dalle foto che mi ha mostrato (*).
Mentre ci dirigevamo verso la parte anteriore dell'astronave, ho visto una parete che scivolava via, e rivelava un'apertura, molto simile ad una galleria. In fondo alla galleria c'era una piccola camera, dove due piloti sedevano dietro i comandi.
Poiché l'estremità dell'astronave era trasparente e i grafici splendevano, c'era molta luce, ed io speravo di ottenere un'ottima fotografia. Tutte le luci della stanza in cui ci trovavamo sono state spente, lasciandola quasi completamente al buio. Ma i due tentativi sono stati inutili, a causa della grande energia magnetica dell'astronave, assai superiore a quella del Ricognitore.
Una cosa, comunque, è provata. Senza un sistema di filtri non ancora inventato, è impossibile ottenere fotografie chiare all'interno di un'astronave. Quando ho chiesto se una macchina fotografica migliore, con un obiettivo piú sensibile, avrebbe ottenuto risultati migliori, mi è stato risposto che è molto improbabile ottenere un notevole miglioramento, dato il tipo di pellicola impiegato.
Quando abbiamo finito di scattare le ultime due foto, le luci all'interno dell'astronave si sono riaccese. Siamo ritornati tutti e tre all'ascensore e siamo risaliti all'esterno dell'astronave. Quando il portello si è aperto, ho visto che il Ricognitore era tornato a posarsi. Orthon mi ha toccato la mano in un saluto di commiato, e il pilota del Ricognitore ed io siamo ritornati a bordo dell'apparecchio che ci aspettava. Appena siamo entrati, il portello si è chiuso silenziosamente alle nostre spalle e siamo partiti immediatamente.
Mi è impossibile giudicare a quale distanza ci trovassimo dalla Terra, ma dal momento in cui l'abbiamo lasciata al momento del nostro ritorno è trascorso un po' più di due ore e mezzo.
Tornati sulla Terra, il mio amico ed io ci siamo congedati dal pilota e ci siamo avviati verso il punto in cui avevamo lasciato la macchina. Poco prima delle sette del mattino, il mio compagno mi ha lasciato davanti all'entrata di casa mia. Per quanto lo abbia invitato a fermarsi per prendere un caffè e fare colazione, mi ha ringraziato e ha declinato l'invito, spiegandomi che non poteva arrivare in ritardo al lavoro: infatti si era impiegato per la durata del suo soggiorno sulla Terra.
Per concludere, mi sia permesso di dire questo: mi rendo perfettamente conto che vi saranno molti tentativi di screditare queste fotografie. Ma questo non mi turba. Ciascuno è libero di credere o di non credere le affermazioni suffragate dalle fotografie e contenute in questo libro. Ma ciascuno deve rendersi conto che le sue conclusioni personali non modificano minimamente la realtà. Per trovare conferma, è sufficiente sfogliare le pagine della storia di un qualunque anno di qualunque epoca. Nella sua concezione grossolana, la mentalità terrestre ha sempre considerato piú facile beffarsi delle nuove meraviglie che riconoscere i limiti della propria conoscenza dei miracoli che attendono di venire scoperti nell'Universo sconfinato.
Ai Fratelli degli altri mondi, che sono esseri umani come noi, io sono molto riconoscente per ciò che mi hanno mostrato ed insegnato. E lo riferisco ai miei fratelli di questo mondo, sapendo che molti di loro sono già pronti. Come sempre, gli scettici devono aspettare quella che sarà anche per loro la prova inconfutabile del fatto che lo spazio è stato conquistato dai popoli venuti da pianeti molto più progrediti del nostro.
George Adamski
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